sabato 20 gennaio 2007

Olé

Mica sto tanto bene. Mi sento debole. Questa gola continua a pizzicare e la testa è un po' stordita. In tali condizioni credo di poter parlare di flamenco invece di mettermi a studiare. Ho in mente un paio di alegrías da qualche giorno, chissà perché poi. Ora descrivere il flamenco in poche righe è complesso, e bisognerre poter parlare della cultura gitana, magari coinvolgendo anche le giostraie che vengono sempre alla festa tu qui al Ponte. Il flamenco è nato come canto in una società con una povertà diffusa e disagi un po' in tutti gli aspetti della vita. E in quello che forse è più giusto chiamare cante si ritrova la vita di questa società gitana che è sempre stata lasciata ai margini e che un po' si è emarginata da sola. In certi ambienti ciò che salva le persone è l'individualità, così tutto quello che circonda il flamenco è individuale, si rappresenta uno stato d'animo sia con la voce che con le chitarre e il ballo. Il ballo è quello che colpisce di più, è sensuale e provocatorio. Con delle espressioni forti e tutta quella gestualità che hanno le culture mediterranee. Poi arrivano i colori della vita gitana, abiti lunghi e accesi, spesso con tinte contrastanti tra loro e vengono mossi non solo da mani, piedi, ma da tutto il corpo. Battute maliziose in mezzo alla canzone o al ballo sono un omaggio alla seduzione di tutto quello che si sta vedendo e ascoltando. E quando un passo riesce bene dal pubblico arrivano gli olé, è uno mondo a sé, uno spettacolo flamenco non è niente di paragonabile ad un balletto o a un concerto, è flamenco. Mantiene un carattere primitivo che è quella purezza che la generazione del '27 voleva salvare, ma credo che non ci sia bisogno di salvare nulla, la sensualità e la purezza rimangono anche mischiando altri generi al flamenco. Quello che conta è sempre lo stato d'animo di chi lo interpreta, che sia triste o felice poco importa se si riesce a trasmettere il senso gitano della vita che si apre all'amore e al sangue nello stesso modo

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