giovedì 30 novembre 2006

Intermezzo

Le paure di Calvin sono quelle che hanno avuto tutti, per ora io ho paura di non sentire la sveglia domattina, se l'immagine non dovesse vedersi basta cliccarci sopra e si ingrandirà, prodigi della tecnica...ora è troppo tardi per scrivere qualcosa, lo farò domani
bonne nuit

martedì 28 novembre 2006

Nostalgia canaglia


Oggi il colpo è stato basso, il link all'articolo del pais inaspettato, niente più botellón con questa vista, niente più tinto de verano sulle scalette del duomo con la polizia che ti scaccia da una piazzetta all'altra, ma sempre gentilmente, con educazione. Già sanno verso quale piazzetta ti sposterai, ma aspettano, ti fanno festeggiare qualche minuto e poi tornano a dirti di andartene senza crederci. Svoglitamente. Che bella città. Da qualche parte in periferia però sorgerà il primo botellódromo, luogo apparentemente squallido, ma che voglio leggere come una prima risposta della città. Voglio tornare laggiù e vederlo, temo che sembrerà un ghetto. Mi ricordo che proprio in cima, dietro l'Alhambra, in un giardino d'epoca romantica, con un custode grasso e gentile, c'è una scritta nascosta rivolta a chi passeggia, Granada figlia del sole e fanale del paradiso. L'ultimo regno arabo dell'Europa cattolica. Per tutta la città si nota questo scontro fra le due culture, piazze e statue dei re cattolici che conquistarono la città e sopra i palazzi arabi. E' stata conquistata nell'anno 1492, un anno nefasto direi. La cattedrale stessa è incerta, piazzata in mezzo alla centro e troppo ingombrante, rimasta a metà con una torre campanaria non terminata e una mai iniziata. E poi c'è l'Al-hambra, per nulla ingombrante, con un'architettura accogliente e che ti lascia sedere di fronte a giochi d'acqua. Dove ogni giorno a mezzogiorno la luce e l'ombra tagliano a metà i locali interni non possono che nascere leggende, quelle di Irving e quelle della storia. Con Boabdil che scoppiò a piangere cedendo le chiavi di Granada ai re Cattolici, che non osò voltarsi fino a che arrivato a una grossa distanza da sopra una collina guardò la città per l'ultima volta e sospirò capendo cosa aveva perso, la collina oggi si chiama Sospiro del moro. Si dice che nelle notti serene d'estate si possa sentire ancora quel sospiro sotto le mura della città, ogni tanto andavamo a fare un botellón lassù

lunedì 27 novembre 2006

il lavoro nobilita l'uomo

Ma io ce l'ho fatta, ho finito di nobilitarmi. Adesso arriverà la frivolezza, l'alcool con Trippa e un kebab, ancora con Trippa. Cercherò di scrollarmi di dosso tutta 'sta nobiltà che ho accumulato negli ultimi giorni. E' quasi martedì e ho voglia di trovare qualche convegno, uno di quelli che ti portano via mezza giornata buona, dove è prevista la pausa caffè e dove dopo la prima oretta si va a prendere una birretta nella piazza vicino. Se lo trovo di giovedì salto pure la riunione della commissione ambiente all'ordine. Questi vogliono consegnare un lavoro a fine anno e ancora io non ho fatto nulla. Ho buttato là due parole sul fatto che la commisione rimane in carica fino al 2009, ma ci sono rimasti male. Non volevo. Me ne dispiaccio, ma anche se mi chiamano, non abbocco e non rispondo. Io rimarrò in carica fino al 2009 e non accetto tutta questa fretta. Giovedì divagherò o me ne starò in placido silenzio. Non dovrebbe fregare a nessuno, ma inizio a non riuscire più a conciliare tutti gli impegni che mi cerco e trovo. Tra l'altro, non capisco perché sento come la puzza di fumo anche se non fumo, nessuno ha fumato qui vicino a me...ho sempre sostenuto che il fumo involgarisce, toglie eleganza. Il tabagismo uccide la bellezza, ecco. Poco o tanto che sia non mi piace, detesto 'sta puzzetta che col passare dei minuti diventa invadente. Soprattutto all'aria aperta, ti si appiccica addosso e rimane là. Anche il gesto in sé è bruttino a rifletterci. Starò male? Forse è stanchezza. Sciupete oggi s'è preoccupato, m'ha visto più pallido del solito, anche se non credo, e ha accusato la vita da cantiere. E' un uomo buono, non aveva un goccino di grappa da offrirmi, ma domani smezzeremo un panino, ormai mi tratta come un figlio. Domani rinnoverò il mio tesserino di riconoscimento, raccomandato dall'ordine, con la mia cuffietta colorata dovrebbe abbinarsi bene, è giallo. Secondo me lo perdo subito

Gli ipocriti


Il titolo è quello della compagnia, l'immagine è quella del protagonista. Don Chisciotte, o Don Quijote come è più bello chiamarlo. Ci sarebbe da aggiungere Spoleto, per la gioia di Go che oggi pomeriggio chiedeva due righe scritte in giro per il web. Ho faticato a parcheggiare e a salire tra i viottoli e tutti i bar chiusi, ma quello che ho visto è stato uno splendido spettacolo, consiglio a tutti di vederelo, dovrebbe essere a Terni tra poco. Il finale è commovente, ma tutto lo spettacolo è vivace tra le musiche di Eugenio Bennato e gli urli, folli, di Don Chisciotte. Le scene più belle sono dedicate ai suoi delirii, solo e con Sancho, fino alla fine, col mondo che lo deride senza capirlo e Sancho che ogni volta lo capisce meglio. Quando ormai il folle è Sancho e Don Chisciotte inizia a rinsavirsi, il gioco è fatto. Le parti si sono invertite e la mente è confusa. E' un rapporto tra i due personaggi che va crescendo. Credo che siano due ingenui, e la commozione finale arriva perché quell'ingenuità si perde, con la morte di Don Chisciotte e Sancho che si ritrova solo com'era Don Chiosciotte all'inizio. Entrambi hanno finito di correre dietro alle follie. Sancho si ritrova con le spalle al muro, e rimane sospeso senza saper che fare. L'ho trovato umanissimo, tutta la natura carnevalesca dello spettacolo e le risate rimangono sul fondo con la meta-compagnia di attori che li aveva accompagnati e forse derisi per tutto il tempo che si mette attorno a Sancho, rimanendo nella penombra e lasciandolo vicino al suo cavaliere. La normalità non appare in nessun momento dello spettacolo, tutto quello che la richiama è un qualcosa di grottesco che gioca con i travestimenti e le marionette. E al grottesco, come allo struggente, io non so resistere

sabato 25 novembre 2006

Virgilio y Homero



La prima volta che ho ascoltato il bolero che dà il nome a questo blog è stato ovviamente per puro caso, erano quei giorni passati nell'eccitazione per aver visto Parla con lei, al cinema. Ma non divagherò su Almodóvar e le sue sorprendenti scelte musicali, non è questo il post. In ogni caso, l'eccitazione a cui mi riferisco è quella legata all'interpretazione di Caetano Veloso nel film, se non mi ricordo male seggiolina e chitarra come a Umbria Jazz. Spero di non sbagliare. Ho iniziato ad avvicinarmi alla musica sudamericana, così, per caso, dire per sbaglio non sarebbe corretto. Nel cd comperato solo per ascoltare Cucurrucucú Paloma di Caetano, c'era un bolero bellissimo fin dal primo ascolto, le altre canzoni hanno avuto bisogno di più tempo per essere apprezzate. Passando di cd in cd ho ritrovato lo stesso bolero in una versione ancora più bella che si avvicina al flamenco, suonato dal pianoforte di Bebo Valdes. Un esule cubano di cui potrebbe parlare più di me la mia cara Delphine, visto che me ne parlò per la prima volta proprio lei al Cine de Verano al Sacromonte. Ritorna ancora un film bellissimo ai margini di questo bolero, il film era El milagro de Candeal un documetario sull'origine comune e africana della musica brasiliana e cubana. Tra film e cd ho capito bene il testo solo da poco, diciamo un annetto? Il ritardo è dovuto ai limiti del mio spagnolo. Il tango è venuto poi, insieme ai fratelli Expósito. Virgilio e Homero. Uno compositore e l'altro scrittore. Figli di Don Manuel Exposito pasticcere e confettiere della provincia argentina, anticlericale e anarchico come la moglie. Cresciuto nella "Casa de los Niños Expositos". I due fratelli non potevano che diventare grandi artisti, lo dicono loro stessi, basta leggere qualche dichiarazione rilasciata ai giornali nel corso degli anni. Virgilio deprecava i comportamenti e la visione del tango di Carlos Gardel, mentre l'altro, Homero, cercava il successo nella gastronomia e ristorazione, senza trovarlo mai, in nessun luogo dell'Argentina. I ristoranti aprivano e chiudevano, mentre i due fratelli avevano sempre più successo con i loro tangos. E i giornali li cercavano, in un intervista che ho appena ricercato sul Clarín Virgilio dichiara:
"quando uno ha scritto più di duemila canzoni, quando insegna e ha allievi, quando si alza ogni mattina con un nuovo progetto di vita, come adesso che ho formato un trio, e arrivate voi a chiedermi quanti anni ho, devo rispondervi che non sono immortale, però sono un artista, e un artista non compie anni, ma opere"
Ovviamente non hanno scritto solo tangos, il tango rappresenta solo il loro successo. Un bolero scritto da Virgilio e Homero è stato subito un grandissimo successo internazionale, ma di un pianista cubano, Ignacio Villa più noto come Bola de Nieve, forse la foto lo avvicina alla razza cagnina. Il bolero è Vete de mí, in serata forse il testo...mo basta che inizio a sentirmi come Minà, solo meno ciaffo

giovedì 23 novembre 2006

strip


Stasera una birretta ruba tempo alla scrittura, credo che sarà doppio malto...intanto appiccico qua sopra una delle mie strisce preferite. Salut au monde

mercoledì 22 novembre 2006

Le stagioni nel sole

Addio, che bello aver vent'anni
essere al centro della primavera
volare a vela in mezzo ai sogni,
partire senza mai ritorno
e avere una ragazza al giorno
L'ho cantata oggi in macchina, grazie al cd e a Giovi che me l'ha regalato, ovviamente il contesto è stata la consueta via eugubina, devo in qualche modo superare il viaggio giornaliero fino alla città dei 40 martiri e dei Ceri. Più dei Ceri. Sto studiando il modo di poter ancora dire di avere vent'anni. A suo tempo avevo fatto crescere i capelli lunghi, oggi credo di non potermelo permettere. Riflettendoci bene, capisco che non ho mai avuto una ragazza al giorno, iniziare potrebbe essere la soluzione cercata. Riflettendoci ancora meglio credo che nessuno a vent'anni ha una ragazza al giorno, nemmeno Bozzi. Quindi la soluzione è da scartare. E poi continuo a pensare agli appennini dove ieri ho passato la nottata, questi posti mi piacciono sempre più, la gente di là è tutto meno che schiva come mi sarei aspettato. Vivono organizzati in comunanze, a vent'anni si fa la stessa vita che a sessanta...chissà se la differenza sta forse nella ragazza al giorno? Per difendere il loro diritto a esistere si sono organizzati in un consorzio e riescono così a gestire nel migliore dei modi il bosco che è l'unica ricchezza che hanno, ogni comunanza gestisce una parte di bosco che rimane in qualche modo comune a tutti. Tutto è limitato a quattro case sparse, esiste per esempio una piccola frazione che si chiama Case al Vento, il nome è fin troppo descrittivo. A me fa pensare a quanto sia intimo il rapporto che hanno col territorio e mi sembra che la loro sia più una vita da partigiani che altro, col bosco che la fa da padrone e tutti che si adeguano. Io fischietto bella ciao.

martedì 21 novembre 2006

Segni di vita

Devo assolutamente abituarmi a scrivere di notte, ormai l'ho capito, non vedo vie di uscita a breve termine, il tempo scarseggia su questa terra e ho ammucchiato davvero troppo lavoro. Per fortuna dormo poco, come sempre. La notte è una benedizione per il tempo libero. Questo blog offre più di quanto avrei creduto. Volevo comunque parlare dei segni che dà la vita, forse la parola esatta sarebbe segnali, ma non mi interessa l'esattezza in questo momento. Sento la mente leggera mentre si sta rilassando e mi piace. E' un segno di vita, il lavoro non ce l'ha fatta a stordirmi del tutto, ha lasciato una possibilità anche al sonno. A cena guardavo mia sorella e riflettevo che è un segno che dà la vita quando uno inizia il lavoro che ha desiderato da anni il giorno del suo compleanno, probabilmente non si era sbagliato ad aspettare. E' un segno poi quando mi innervosisco al volante e Giovanni si preoccupa, Bozzi mi verrà addosso nel giro di un paio di minuti, proprio dalla parte dove sta seduto Trippa. E' un segno quello che lascia il mio inguine continuando a farmi male anche per una piccola corsetta, non so se di vita o no, più probabilmente è una pubalgia o un'ernia. Mi piace comunque pensare che sia la prima. La vita è esplicita e lo sarò anch'io con l'ultimo segno di vita che lascio in questo post, un'immagine flamenca.

lunedì 20 novembre 2006

Oggi

Dopo una intensa giornata di lavoro mi accingo a inaugurare l'ennesimo blog del gruppo, per esattezza il mio, ho bisogno di una scusa per scrivere un po' e credo che userò questo spazio che ho cercato di colorare di verde per dar voce a quello che mi passa per la testa, non vorrei ma so che finirà così. So anche che Go non condividerà lo spunto soggettivistico che darò a quasi tutti i post, ma fortunatamente Go continuerà a volermi bene. Immagino che potrò farlo felice con qualche storia sulla musica sudamericana. Così inizio subito a dire che il nome del blog l'ho rubato a un verso di un bolero che continuo a canticchiare da qualche tempo, almeno uno dei fratelli Exposito è l'autore. Forse un post non troppo lontano chiarirà la bellezza di questo bolero e la storia dei due fratelli argentini che lo hanno scritto. Cercherò di capire nei prossimi giorni come abbellire queste pagine