domenica 31 dicembre 2006

Isole fortunate

Quale voce giunge dal suono delle onde
che non è la voce del mare?
E' la voce di qualcuno che ci parla
ma che, se ascoltiamo, non dice,
proprio perché abbiamo ascoltato.

E solo se, in dormiveglia,
senza sapere di udire udiamo,
essa ci dice della speranza
alla quale, come bambini
nel sonno, dormendo sorridiamo.

Sono isole fortunate
sono terre che non hanno luogo,
dove il Re dimora aspettando.
Ma, se ci andiamo svegliando,
la voce tace, e c'è solo il mare.

L'insonnia fa brutti scherzi e propone versi portoghesi. Stasera mi sono accorto di non aver ancora pubblicato nemmeno una poesia, lascio a chiusura di quest'anno alcuni dei versi più belli che io conosca. Mi piacciono davvero. Sono sognatori e secondo me insoliti nella poesia di Pessoa, un paio di anni fa ho scelto di metterli sulla prima pagina della tesi, ero soddisfatto. La mia tesi non mi è mai piaciuta più di tanto e ho cercato di abbellirla così, con un po' di narcisismo. Rileggo questi versi e li trovo assolutamente perfetti, semplici come dovrebbe essere un bel sogno fatto col sorriso. Quello di chi dorme sopra una speranza che non va detta e di chi cerca un rapporto diverso con gli altri. Credo che leggere questa poesia possa far bene a tutti.

venerdì 29 dicembre 2006

tanto pe' parla'


Avrei dovuto preparare due impianti di riscaldamento per altrettanti appartamenti, avrei dovuto iniziare uno studio sul recupero di alcuni vecchi mulini ad acqua a scopo idroelettrico e abbinarci possibilmente un piccolo sistema a idrogeno, avrei dovuto scrivere una relazione del clima acustico di un'area ferroviaria per il master, avrei dovuto finire la traduzione in spagnolo per il Perù, sempre per il Perù avrei dovuto iniziare il progetto di un nuovo digestore anaerobico e relativo impianto, avrei dovuto continuare a studiare sul solito brevetto che devo consegnare quanto prima alla camera di commercio, avrei dovuto documentarmi sul recupero di tre cave dismesse e avrei dovuto anche decidermi sul nuovo libro da cominciare a leggere. In certi casi è meglio chiudere gli occhi e senza che nessuno se ne accorga uscire di casa a passeggiare. Adesso ho un vago senso di colpa che mi accompagna nella scrittura, in compenso ho fatto shopping e ho bevuto una tisana orientale disgustosa. La tisana mi ha fatto passare il mal di testa. Sorseggiando quella bevanda rossiccia e davvero troppo aromatizzata, ho capito che devo concedermi una vacanza quanto prima. Mi piacerebbe un posto caldo dove camminare con un paio di ciabattine ai piedi, se mi va, forse suonare darbuka e magari aggiungere un canto da strada e un ballo, sempre da strada ovviamente. Sarebbe bello poi aggiungere quelle serate in cerca di un ristorantino sconosciuto dove si paga poco e il cuoco, che in certi posti è anche il padrone, passa a salutarti al tavolo. Ti consiglia il piatto del giorno mentre ammicca alle due straniere sedute al tavolo accanto. Quelle che sono sempre bionde e scollacciate, dato il caldo che fa. Il simpatico lo fa ovviamente più con loro, e tu sorridi. Aggiungerei una spiaggia dove all'ora di pranzo vado a rifugiarmi all'ombra sorseggiando la birra più insipida del mondo e la mia incapacità di spalmare la crema solare. Per fortuna che la mia pelle rifiuta l'abbronzatura. Forse Lisbona potrebbe essere una bella idea. Mentre medito sulla vacanza da organizzare per la primavera voglio ricordare al mondo che ieri due donne meravigliose sono tornate dal continente africano, Giulia e Cecilia, Capo Verde e Malawi. Le esperienze sono state di natura diversa, ma la birra chiara del Kandinsky ha riassunto tutto in un'unica soluzione, appena appena alcolica. Stasera torno proprio al Kandinsky, arriverò prima che finisca l'ora felice, intanto rimango in attesa delle foto di ieri sera, quelle in cui baciavo tutti e tutte.

martedì 26 dicembre 2006

Pensieri musicali



Quest'uomo sta partendo per il Brasile, mi ha scritto oggi. L'anno scorso mi salutava per Natale così, vestito da renna e al caldo di Sidney. Ha sempre pensato di assomigliare a Rudolph, la prima renna di Babbo Natale. Ormai da Londra sta iniziando un altro viaggio, come dice lui la cosa più bella delle partenze è sapere che tanta gente continua a fare la stessa vita di tutti i giorni e non sanno che sta per arrivare una nuova persona nelle loro vite, che in un modo o nell'altro verranno cambiate. Trovo che sia un bel modo di vedere i viaggi. Vorrei raggiungerlo in Brasile, mi piacerebbe andare a ballare un po' di samba sulla spiaggia con lui che continua a chiamarmi hermano e che cucina carne insieme alla cipolla arrostita in padella. Che dice sorridendo di mangiare un poco de mierda quando prepara quelle zuppine pronte tipo Brodo Star. Appena torna a Londra lo passo a salutare, ho deciso, almeno per tornare a passare qualche altro giorno in casa con lui e uscire per pub e discoteche. Sono già curioso di sentire i racconti dal Brasile e vedere se almeno un po' di portoghese lo ha imparato. Vedrò di capire se ancora fa l'elettricista a tempo perso tra un po' di surf e i viaggi. E in Brasile prima o poi andrò anch'io, andrò a Bahia a cercare Carlinhos Brown e Caetano Veloso, canticchiando Gilberto Gil e forse provando a baciare un'altra volta Maria Bethania. Che bello ricevere quel bacio dopo il concerto a Umbria Jazz, davanti al Blitz, mi ricordo benissimo...
Intanto oggi ho riscoperto la bellezza di ascoltare delle canzoni in cassetta, quella del Meuri, il solito ingegne' dei muretti, quando apriamo uno studio insieme?? Se non faccio la società a Gubbio è imminente, già te lo dico. Le calle di Rivera aspettano solo di abbellire il mio ufficio tecnico, Meurovich. La cassetta regala emozioni, è Certi Momenti di Bertoli, bellissima davvero. Domani sarò insopportabile per tutto lo studio cantando nel mio ufficio Cent'anni di meno e tutte le altre. Ma lo sapevo già che mi sarebbe piaciuta 'sta cassetta. E poi c'è stato il meraviglioso cd del Pampa, ormai ascolto Campanitas de Cristal e la sento mia, mi ci riconosco e trovo molto bello il piano di Noro Morales che suona un jazz leggero. Ora scappo per raggiungere la cena in casa Pasqui e magari salutare tutti quelli che non rivedo da un po', lascio ovviamente due versi di Bertoli:
...Mille cannoni perduti da un bacio
Noi credevamo alla pace nel mondo
Bastava un dolce sorriso, uno sguardo
Tutti abbracciati in un bel girotondo
Anche al diluvio davamo il suo freno
Quando avevamo cent'anni di meno...
un pensiero a questi tre amici ma non è nostalgia e non vuole essere nostalgico, è solo una bella canzone

lunedì 25 dicembre 2006

Striscia di Natale

Il racconto natalizio di Giovi non m'è arrivato, nell'attesa di poterlo leggere lascio tutti in compagnia di Calvin, come al solito se non dovesse leggersi bene basta cliccare sopra l'immagine per ingrandirla. Leggete tutti la storia di Garrincha qua sotto, intanto vado a farmi bello sotto la doccia...un abbraccio al mondo

domenica 24 dicembre 2006

L'allegria del popolo

Qualche tempo fa ho fatto un sogno, giocavo a calcio con la maglia del Brasile, quella numero sette, sulla maglia c'era scritto Garrincha. Il sogno finiva con tutta la nazionale che si ritrovava nel seminterrato a cantare con Caetano Veloso, al risveglio ero un uomo felice. Ripensavo alla storia di Garrincha e mi preparavo alla partita di calcetto del pomeriggio, è stata una delle partite più brutte mai giocate. Mi sono fatto male subito, Trippa aveva le vesciche ai piedi e Cagnini uno stiramento all'inguine. Ma la storia di Garrincha è rimasta e ho promesso di scriverla su qualcuna di queste pagine. E' uno di quei racconti che quando si ascoltano non si dimenticano più, a me è successo così. Lo chiamavano l'allegria del popolo, è stato il giocatore più amato dai brasiliani, per lui hanno scritto canzoni, libri e poesie. Di lui si è innamorata una stella della musica brasiliana, Elza Soares. Lei sposata con l'uomo che l'aveva violentata qualche anno prima e lui che vinceva i mondiali da solo in Cile. Entrambi nati nelle favelas della provincia di Rio si ritrovarono in una storia d'amore travolgente. Da piccolo fu affetto da poliomielite e ne uscì con una gamba più corta dell'altra, con minime possibilità di poter camminare correttamente. Curò la sua malattia correndo sui campi di calcio. Garrincha è uno dei più brutti uccellini che vivono nel Mato Grosso, gli diedero questo nomignolo perché era uno storpio, tutto pelle e ossa e con gambe e colonna vertebrale storte. Ogni squadra lo rifiutava senza vederlo giocare, in una partita d'allenamento umiliò un difensore del Botafogo e in quel momento cambiò la sua vita. La sua finta era sempre la stessa e sempre imprevedibile, il Brasile con lui e Pelè in campo non perse mai. Era una persona semplice, ingenua e che aveva una visione allegra della vita. Aveva due passioni, il calcio e gli uccellini. Quando muore l'intero Brasile capisce cosa sia stato Garrincha e capisce di avergli dato troppo poco. C'è un aforisma che ho letto qualche anno fa e che spiega molte cose. Si dice che se parli con un vecchio brasiliano di Pelè, questi si toglie il cappello per un senso di devozione. Se gli parli di Garrincha si mette a piangere. Garrincha è morto solo, dimenticato in una povertà nera e alcolizzato. Pelè rappresenta ancora il modello da seguire, quello dell'uomo di successo, vincente e integrato. Garrincha descrive invece quello che veramente è il Brasile, un paese classista, probabilmente razzista dove l'alcol e gli abusi sono ciò che dovrebbe essere rimosso dalla coscienza e che non va affrontato. Un anedotto meraviglioso è legato al modiale del '58 vinto dal Brasile. Al ritorno dall'Europa i calciatori furono accolti dal governatore di Rio, fu preparata per loro una festa allo stadio dove c'era una colomba in una gabbia. Al termine della cerimonia il governatore annunciò che una villa sulla spiaggia era il premio concesso ad ogni calciatore. Mentre il governatore si congratulava con i giocatori Garrincha gli si avvicinò e disse "A me non interessa la villetta, ho un altro desiderio...", invitato a parlare dal governatore guardò la colomba e ne chiese la liberazione

sabato 23 dicembre 2006

Melville



Domani creerò un cd di rara bellezza per il Pampa, lo chiamerò Melville, sarà struggente e incantatore, come Moby Dick lo era per Ahab...capisco di aver bisogno di tornare a scrivere, lo farò presto con una bella storia che avrei già dovuto pubblicare

Sogni d'oro a tutti

mercoledì 20 dicembre 2006

Vete de mí

Tu, que llenas todo de alegria y juventud
que ves fantasmas
en la noche de trasluz,
y oyes el canto perfumado del azul
Vete de mí.

No te detengas a mirar
las ramas muertas del rosal
que se marchitan sin dar flor
mira el paisaje del amor
que es la razon para soñar
y amar.

Yo, que ya he luchado contra toda la maldad
tengo las manos
tan desechas de apretar
que ni te puedo sujetar
Vete de mí.

Seré en tu vida lo mejor
de la neblina del ayer
cuando me llegues a olvidar
como es mejor el verso aquel
que no podemos recordar
Finalmente pubblico questo testo e per un po' smetterò di parlare di bolero...

martedì 19 dicembre 2006

Giorni feriali

"Ingegne'! Venga che da quassù si vede tutta Gubbio..."
E io a salire sempre sui tetti, tra pannelli solari e un senso di precarietà. Solo ora mi sono colpevolmente reso conto di non aver dedicato troppe parole a questa città. La frase è celebre, molti dei miei amici la conoscono, chi me l'ha detta l'ha fatto col cuore, ne sono sicuro. C'è un legame tra la città e i suoi abitanti che non avevo incontrato prima, saranno i monti, l'isolamento degli Appennini, ma è più probabile che sia bella davvero. Bella come dicono loro che ci abitano. Adoro questa gente, non faccio altro che dirlo, quella semplicità con cui ti parlano e guardano quei viottoli che salgono soltanto è meravigliosa. Si riconoscono e dopo un po' ti fanno "Ma non sei di Gubbio...". Regalano olio, tartufo e vino. Parlano di Perugia come di un luogo lontano. Raccontano per sei mesi i Ceri che sono stati e immaginano per sei mesi quelli che verranno. Due o tre giorni all'anno si svegliano alle quattro di mattina, ansia da Ceri. In quei giorni dalla finestra dove ogni tanto mi affaccio io rimane appeso S.Giorgio e i suoi colori, qualcuno oggi già ha detto che mi vedrebbe vestito coi colori di S.Antonio, forse lo farò. E' narcisismo, mio e loro, lo capisco bene e me ne compiaccio, so che cederò. Intanto domani appenna arrivo prendo un caffè e mi metto a chiacchierare tra i viottoli, a parlare di Gubbio e della neve che è sempre più nell'aria. Di quella pioggerellina strana che non è mai pioggia, fina fina e che m'arriva sempre sul naso. Sono sicuro che mi diranno che la pioggia è quella, solo quella, magari mi diranno anche che è loro, come Gubbio e i Ceri. Prima o poi comprerò una piccola mansardina da dove si vede tutta Gubbio

domenica 17 dicembre 2006

una teiera e tè

Oggi ho ripensato al tè, quello marocchino, la loro bevanda nazionale, alla quale ti arrendi subito. Inizi a berlo e non ti fermi più. Quel tè è una delizia, bollente e servito in bicchieri di vetro oblunghi, versato dall'alto con teiere d'argento. Sorseggiarlo mentre si chiacchiera diventa subito un'abitudine. Dentro va a finirci la cosiddetta hierba-buena, a me fa pensare ad altro, ma dicono che sia menta. E' sospetto il fatto che la menta non mi sia mai piaciuta tanto come laggiù. La foto è di un piccolo paesino, Chefchauen, che guarda in alto e sta in cima alle montagne dell'Atlante. Lassù ci si ritrova immersi tra il bianco e l'azzurro. I colori del paradiso e dell'amore, dicono. L'equilibrio che ne risulta è sorprendente. Un paesino che sembra un incanto, con il bagno arabo e una piccola moschea proprio nel mezzo. La porta colorata di giallo e verde è chiusa ai non credenti. Appena dietro una piazzetta piena di colori e tappeti, bigiotteria che si paga in base alla capacità di mercanteggiare giocando col venditore e locali addossati l'uno all'altro che offrono tè. Ovunque si trova del tè. Basta dire shukran, grazie, e si ruba un sorriso. E' facile. Il tè che ci si ritrova nel bicchiere è sempre lo stesso, due dita di zucchero in fondo, un bicchiere caldissimo che nemmeno si tiene in mano e un rametto di menta a galla tra i vapori. Ogni tanto un moscerino annegato da tirare via col dito. Qualche arabo mi ha raccontato che il tè dovrebbe essere bevuto in tre sorsi. Il primo deve essere ardente come il deserto e la vita. Il secondo amaro come la morte. Ma il terzo e ultimo dolce come l'amore.

sabato 16 dicembre 2006

stordimento e Calvin

Un'aspirina dovrebbe riuscire a cancellare questo mal di testa, io ci aggiungo anche il rituale del thè, qualche biscottino con gocce di cioccolato e una canzone cantata sottovoce, poi ricerca di un berrettino nuovo e forse di un pigiama bianco...

giovedì 14 dicembre 2006

Rudolph Diesel

In questi giorni mi è capitata per mano una pratica interessante, molto stimolante, un piccolo brevetto da portare avanti. E indagando tra le pieghe della normativa italiana e internazionale, mi sono imbattuto nella storia di un grande della tecnica. Il caro Rudolf Diesel. Dai tempi dell'ultimo anno di università ho maturato un'ammirazione per questo tipo di motori, è vero, studiandolo ho trovato il sistema geniale. Semplice e più efficiente del motore a benzina, ma non conoscevo tutta la storia. Il 23 febbraio 1892 un ingegnere di trentaquattro anni depositava un brevetto per un motore innovativo. L'idea di base era riscaldare l'aria per compressione fino ad un temperatura tale da far accendere spontaneamente il carburante. Semplice. Un motore così, era al di là di ogni immaginazione, per quel tempo. Impiegò molti anni ad affermarsi sul mercato. Un anno dopo il brevetto Diesel pubblicò un opuscolo, esponendo la sua teoria su un motore razionale che potesse sostituire i motori a vapore e a scoppio. Si impegnò nella costruzione di un prototipo e rischiò di essere ucciso da una esplosione. Solo dopo un anno ne uscì un motore quasi funzionante. Era il primo motore che otteneva l'accensione senza neanche una scintilla. Il rendimento era maggiore del doppio di quelli in commercio. Diesel era animato da motivazioni sociali, voleva che il suo motore fosse semplice. Che potesse essere costruito da artigiani indipendenti in concorrenza alle grandi industrie che avevano monopolizzato il mercato fin da allora. Aveva creato, per di più, un motore che poteva utilizzare combustibili ottenibili localmente, sul posto, dimostrò che il suo motore poteva funzionare con olii vegetali e di semi. Fece funzionare il suo prototipo con olio di arachidi. Era il 1900. Diesel aveva trovato una risorsa rinnovabile e a impatto ambientale nullo. Henry Ford dimostrò che anche l'olio di canapa poteva essere utilizzato su questi motori. Negli Stati Uniti una campagna di stampa organizzata dalla DuPont, un colosso petrolifero, scoraggiò e riuscì a far mettere al bando questi combustibili, ovviamente in favore dei derivati del petrolio. La lotta tra Diesel e le compagnie petrolifere era aperta, ma non andò avanti per molto. Altri personaggi entrarono nella storia Bosch, Lord Kelvin e Wiston Churchill. Proprio Churchill lo convocò segretamente a Londra nel 1913, Diesel salpò dal Belgio alla fine di settembre senza arrivare mai a Londra. Non si ritrovò mai più il corpo, si parlò di suicidio e di agenti tedeschi mossi dal timore che potessero venir cedute idee innovative all'Inghilterra. Si dice infine che le sue idee ecologiste e sociali sui biocombustibili lo condannarono, non si ha nessuna prova a sostegno di una sola di tali ipotesi. E' un dato di fatto però che certe idee morirono con la sua scomparsa e i suoi motori furono sviluppati da colossi dell'industria per funzionare solo con prodotti petroliferi

mercoledì 13 dicembre 2006

Sulla difensiva e palla lunga

Poche parole, ho discusso con una settantene arrogante e meschina, io capisco (poco) un diciottenne, un ventenne, ma una di settantanni no. L'ho fatto in mattinata e animatamente, il motivo tutto italiano di un posto macchina, era mio. Ho finto di fare il superiore e sono andato a parcheggiare mezzo chilometro più in là. Quando ha capito di averla spuntata m'ha chiamato pure giovane, maledetta, non ho risposto e ho preso una birretta, erano le nove e venti circa. Tanto Gubbio è piccola e prima o poi avrà bisogno di me, sto già aspettando il momento della parcella. Non sarebbe la prima. La richiappo, lo so. Magari è già cliente dello studio... La serata dicembrina ha regalato invece un Pampa esultante che guardava il cielo, un solo pensiero e un pugno alzato per il compagno, di fascia e non solo

martedì 12 dicembre 2006

Victor Jara



Ormai la mia vita eugubina mi priva quasi della possibilità di seguire le notizie del giorno, non che l'abbia mai fatto con particolare attenzione, ma mi ritrovo a vivere delle giornate un po' fuori dal mondo. I miei impianti, qualche libro da studiare e l'idea di iniziare un corsettino di francese con Trippa e Go. Vedremo. Intanto sento comunque parlare di Pinochet, di questi funerali che non sono di stato, ma forse anche sì. Mi è ritornata in mente una storia bellissima, quasi come quella di Garrincha, che a Giulia ho promesso di pubblicare. Il racconto riguarda Victor Jara, principalmente un contadino. La famiglia era povera non per particolari motivi, ma semplicemente perché il padre li abbandonò, la madre invece gli insegnò a cantare e a suonare la chitarra. La sua musica rimase sempre quella delle canzoni popolari. Parlava di gente umile, di un impegno politico che andava crescendo e che assumeva le sembianze di un impegno umano. Violeta Parra è l'altra donna che lo spinse a cantare, quella di gracias a la vida. Jara diceva di ispirarsi al linguaggio dei più, che attorno agli anni '60 e '70 in Cile erano i più umili. E diceva di essere felice di poter cantare e fare tanto, solo che capiva di dover fare di più. Diceva che non avrebbe voluto vedere il Cile civilizzato, lo preferiva rozzo e aperto. Nell'ultima parte della campagna elettorale di Allende sostenne apertamente la sua ascesa politica, lo fece con un concerto allo stadio di Santiago. Divenne amico di Neruda in un paese dove tutto era politica. Con il colpo di stato militare nel 1973, venne ricercato e condotto come molti altri allo stadio di Santiago. E proprio lì dentro scrisse una canzone che parla di 5000 persone spaventate. Si dice che di fronte alla paura della gente lui cantasse, per consolarla. Chitarra e voce. Gli intimarono di smettere e lui continuò, gli spezzarono le mani per impedirgli di suonare, e lui continuò a cantare. Lo riempirono di botte e torture fino a quando per non farlo cantare di fronte alla gente rinchiusa nello stadio gli spararono. Lo stadio di Santiago oggi si chiama Victor Jara. Se tutto sia andato così non lo so, io credo a chi me l'ha raccontata e accenno due versi
...la sonrisa ancha
la lluvia en el pelo
no importaba nada
ibas a encontrarte con el...
la canzone è Te recuerdo Amanda, se non la conoscete, ascoltatela

lunedì 11 dicembre 2006

Atti



...la leonessa ritrasse il capo dal mio inguine e ricominciò a camminare avanti e indietro, ed il re mi diceva, per consolarmi: "Henderson-Sungo, stai tranquillo. Ti accoglierà volentieri." "Come lo sai?" feci con la gola secca. "Come lo so!" Parlava con quel suo singolare tono di fiducia. "Come lo so io?" E fece una breve risata dicendo: "Perché la conosco, si chiama Atti!"
(Il re della pioggia - Saul Bellow)

Non posso andare oltre perché rischierei di rovinare la lettura a chi si è fidato dei miei consigli, sarebbe scorretto. La citazione però era dovuta. Piccola piccola e compiaciuta. So già che il mio narcisismo ora mi porterà a fornire spunti per la lettura almeno una volta alla settimana, il mio ego inizia a preoccuparmi

domenica 10 dicembre 2006

Ahi, permette signorina

Oggi torno a parlare di bolero. E' qualche giorno che dovrei farlo, avrei dovuto già pubblicare l'intero testo di Vete de mí, ma senza nessuna spiegazione mi sembrava una cosa buttata qua e abbandonata. Le spiegazioni hanno bisogno di tempo e oggi ho deciso di trovarlo. Il bolero è la musica della seduzione, dove si combinano l'amore idealizzato e la passione erotica. Nel senso più estremo del termine, quello dei luoghi tropicali. In tutti i boleros che conosco ritrovo la ricerca dell'altro, e non importa di quale amore si parli, si canta sempre un voler essere riconosciuti per la propria individualità. Richiama l'idea di Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta, e ovviamente usa lo stesso linguaggio. Ma in America c'è poco di puro e poca ambizione di purezza, così da quello che poteva diventare un linguaggio romantico esce una canzone sensuale. Anzi passionale. Di una passionalità impura, delle volte quasi perversa che porta facilmente alla perdizione. E quello che ne rimane è una bellezza maligna e affascinante. Da questa bellezza ci si lascia trascinare in un ballo inspiegabilmente tenero, dove si gira verso destra alternando passi che avanzano e indietreggiano. E' semplice ballare un bolero, è un corteggiamento. L'uomo abbraccia i fianchi e la donna lascia la sua mano posata sul petto, stabilisce una distanza. Se aumenta l'intesa, la mano dal petto passa sopra le spalle e i fianchi si avvicinano, la distanza iniziale scompare e quello che conta sono i volti, le guance che continuano cercarsi. E poi c'è la canzone che accompagna questo rituale erotico

giovedì 7 dicembre 2006

Dear Santa


Il rapporto di Calvin col Natale inizia oggi, durerà fino al 25 e regalerà delle perle. Domani si annuncia una giornata da caffè e frequenti visite al bar sopra lo studio, forse frequentissime, intanto un accenno di sonno prima che sia tardi,
que duermais bien

martedì 5 dicembre 2006

Vita in piazza

That's very Italian. Il commento che ho più apprezzato durante il concerto. Tutto il teatro che quasi viene giù, e una poliziotta tedesca che sarcasticamente quasi non ci crede. Lorena. Eravamo agli sgoccioli del concerto, la platea e i palchetti chiedevano il bis, ormai in preda ad un'esaltazione musicale e ad un mal di schiena che aumentava, battevo le mani e chiedevo il bis anch'io. Come l'ultima volta a Montefalco, là le mani le battevo anche per il freddo, ma ieri no. Forse perché appena alla mia sinistra avevo Trippa, immagino che emanasse una massiccia dose di calorie, come un vecchio termosifone di ghisa, quelli che ormai quasi non si montano più. Larghi e ingombranti. Nell'ombra lo vedevo e sentivo caldo. Poi c'era la scomodità e lo sforzo fisico per la posizione da palchetto laterale. Ogni tanto cercavo di vedere il trombettista cubano, grasso e dall'accento napoletano, che fa ridere la platea ciancicando parole per introdurre la canzone d'amore che ha scritto a 16 anni. Un popolo che nella vita non ha altro che musica è particolare e lo si capisce appena inizia a suonare. Trippa dice che sono superiori, i cubani, belli e intonati. Com'è nello spirito dell'Orchestra di Piazza Vittorio il concerto intreccia generi e razze, un inno all'idea meticcia della vita che sta dietro la nascita di questo complesso musicale. Sul palco si alternano amici e amiche, sorridono tra loro e la musica che ne esce è appassionante. Trippa, ancora lui, dice che è coinvolgente, ma non so se l'ha detto a me. Vicino a me Judith si aspetta un qualcosa tipo Manu Chao, mi compiaccio quando alla fine ammette di non aver ascoltato mai niente di simile. Trippa sta zitto e allora dico, stavolta io, che mancano due musiciste tedesche all'Orchestra e faccio un po' il tonto, ma poco poco. Inaspettatamente mi contengo, ma so che la poliziotta mi piace, mi guarda e mi sorride. Di fronte al sorriso io cedo, sempre. Col passare delle canzoni capisco che il mio inglese va peggiorando, nei prossimi mesi dovrò porre rimedio. Il vocabolario mi manca per una pratica che non c'è più e la grammatica non è mai stata il mio forte. Però Lorena continua a ridermi, nonostante quello che possa sostenere Trippa. Storie di bolero, viaggi, DDR e quattro birre. L'idea meticcia della vita e della musica mi piace, ma già lo sapevo

domenica 3 dicembre 2006

buona la prima

Stasera scrivo, ma non so ancora di cosa, la bellezza del regalo che mi è stato fatto oggi è nel titolo. Sfogliandolo ho ritrovato notizie che avevo messo da parte e un po' di tristezza, ma va bene così, non si può pretendere di cancellare fatti da prima pagina senza fare nulla, solo aspettando. Il regalo è una bella raccolta di fatti e ricordi. Il manifesto offre sempre prime pagine memorabili. Ieri si parlava a cena di una società in crisi, sento voci di questo governo che vogliono togliere l'obbligo scolastico, o roba simile, sento che si vuole ridurre gli insegnanti di sostegno riducendo i disabili che ne avrebbero bisogno e diritto. Il gioco è semplice, basta richiedere condizioni più restrittive per poter ottenere un insegnate di sostegno e automaticamente dimuiranno gli studenti con handicap che ne hanno bisogno. Saranno meno quelli che hanno diritto ad un'assistenza. Diminuiranno anche gli insegnanti capaci di dare quest'assistenza. La scuola risparmierà e qualcuno avrà delle difficoltà in più e un diritto in meno. Sono piccoli segni, ma orribili. Non capisco che bisogno ci sia di certe scelte. Non capisco perché sia così facile togliere dei diritti. L'importante sembra che sia parlare di democrazia. Tutto il parlamento ci tiene in modo particolare, Bush ancora di più. Più ci tengono, alla democrazia, e meno ne trovo in giro, di diritti. Si vede in compenso un po' di squallore che avanza, cerchiamo di nasconderlo, ognuno fa in modo che il suo piccolo squallore sia meno evidente dell'altro. Mettersi più in gioco e rischiare di prendere qualche colpo senza restituirlo sarebbe già un passo avanti. Non serve una partecipazione di massa, al massimo un movimento di branco può aiutare in qualcosa, ma ognuno che lo faccia per sé e in prima persona funziona di più

sabato 2 dicembre 2006

Giro d'Italia




"...Le gambe, grande questione. Alcuni le hanno dure e nodose, altri lunghe e affusolate come quelle di una ballerina, uno ha delle cosce da porco, l’altro delle cosce da trampoliere, ma sono tutte magnifiche, forti, coraggiose, obbedienti. Le nostre povere gambe! Miserabili, schiave, ammaccate, pelose, permalose e stanche, che menano menano la macchinetta volgarmente chiamata vita.
Chi studia, chi invece coltiva i campi, chi fa i vestiti, chi le pentole, chi fabbrica i treni o le pompe, chi fa star meglio i malati, chi seppelisce gli uomini morti, chi insegna ai bambini, chi dice messa. Ma noi niente di tutto questo, noi non si fabbrica né si coltiva. Noi si mena le gambe, ecco, e niente altro assolutamente. Perciò ci hanno dato una maglietta con strani colori, e ci hanno messo un numero sulla schiena. Poi ci stampano il nome sul giornale. Ci danno anche soldi, ma fino a quando? Ci buttano fiori, ci vogliono bene, ci abbracciano, ci domandano la firma. Ma fino a quando? Fino al giorno, miei signori, che le gambe diranno no. Diranno: basta di girare, spingendo i pedali in su e in giù. E allora senza più numero né maglietta, siederemo anche noi sulla soglia, nei giorni di maggio e di giugno, a veder passare altre gambe che girano, non più le nostre però, le quali appoggeranno sulla terra, come quelle dei possidenti; come quelle degli speziali, dei professori, dei cappellai, degli idraulici, insomma di tutti coloro che posseggono ancora tutti i loro venerdì. E diremo: sono finiti per noi (e sia lodato il Cielo) la faticaccia, la polvere, l’affanno, eh eh; sono finite le dissenterie. Basta con quella porca vita da forzati! Dio, però, com’era bella."


Dino Buzzati descriveva così il giro d'Italia del 1949, il ciclismo come sport del popolo che passa sotto le case di tutti, senza discriminazione e con fiori per i corridori. E' bello vederlo così. A maggio si inizia, il 12 se non mi sbaglio, poi Ceri, S.Ubaldo e Gubbio in festa e forse Granada, forse Grunberg, forse già Perù, forse anche niente

Dedica


Un omaggio al Meuri. Con piacere lascio questa striscia dedicata al più grande injenier dei muretti. Ora sonno, moltissimo, tra qualche minuto è un'altro giorno.
Sogni d'oro a tutti, anche a me

venerdì 1 dicembre 2006

Rain King




Dovrei riposarmi, ma il piacere di mettermi qua davanti sorseggiando latte, miele e cognac non lo cambio con un'oretta in più di sonno. Domani si presenta come una giornata vaga, non riesco a definirla esattamente lavorativa e mi piace aspettarla. Mi rallegra. Ormai ho capito che è questo il lavoro che fa per me, poter scegliere ogni giorno cosa fare, andare a parlare con persone sempre diverse, confrontarsi con le proprie aspettative e vedere che tutto dipende da te. Non è minimamente paragonabile alla routine alienante dell'azienda, di un ente pubblico o dell'università dove a discapito di tutto quello che si può pensare la principale attività è l'accaparramento di fondi. Dove si fa carriera in base alla capacità di collettare denaro. L'unica cosa che stasera mi sento di rimpiangere della vita universitaria che avrei potuto continuare è il rapporto con gli studenti, seguire i laureandi credo che mi sarebbe piaciuto molto, credo che a ogni mio laureato avrei regalato Il re della pioggia, sarebbe stato un mio piacere personale. Presto dovrò dedicare un post al mondo universitario, per quello che conosco io, poi vedremo cosa uscirà dalle varie esperienze. Avrò bisogno di molte parole, ma ce la farò. Le parole non bastano invece a descrivere la foto, ultimamente è un pensiero frequente, Il re della pioggia lo porterei dietro anche là. Forse soprattutto là. Quello che noto sono gli addensamenti nuvolosi proprio in corrispondenza della cima del monte. Un effetto dinamico del vento. Sembra tutto immobile e invece non lo è, si ha un fenomeno di contropressione per velocità dell'aria, più ci si allontana dalla cima e più la pressione sale. Il vapore rimane schiacciato sulla sommità e sembra fermo, invece è solo un'apparenza il vento è forte e tanto più forte quanto più accentuato è il fenomeno dello schiacciamento nuvoloso. A vederlo da lontano sembra sorprendente, l'aria semplicemente non sa più che fare e aspetta