mercoledì 31 gennaio 2007

La morale è sempre quella

L’orticaria è una reazione cutanea, o meglio un'eruzione, localizzata o generalizzata, caratterizzata da placche rossastre e da un fastidioso prurito che aumenta in modo insopportabile in ambienti caldi. In genere non porta particolari complicazioni e magari dura qualche giorno. A me comunque ha tolto la girella dalla credenza di casa. Dopo gli ultimi commenti mi è venuta voglia di merendine, la pietanza degli anni '80. Oggi invece di fare il bravo, produrre idee e soluzioni mi sono messo a ripensare a tutte quelle merendine che regalavano bontà. Quelle che ancora ogni tanto mangio a casa di Gozzi. A dire la verità in genere le mangia Trippa. Insomma ho riflettuto, bruciato parte delle mie esigue risorse di memoria e la scarsa capacità di concentrazione tra un caffè e un tè alla macchinetta. Ho impiegato circa un'ora y pico nel primo pomeriggio, prima di raggiungere un'azienda agraria favolosa. Da grande voglio vivere in un posto del genere, ma non è il momento di cambiare discorso. Eccovi i miei ricordi, in rigoroso ordine di preferenza, dettato ovviamente dal momento:
  • la fiesta: una merendina col liquore, col cioccolato che scrocchia al morderla e che Rosati consumava come caramelle, scendeva al bar del liceo poco prima della ricreazione e ne comperava almeno tre o quattro, tutti i giorni. Costruiva un piccolo mucchietto sotto il banco e serenamente le scartava nelle ultime ore di lezione. Mio padre sulla soglia dei 60 anni ancora si aggira cercandole per casa, quando capisce che non ci sono più si mette a preparare un torcolo, per consolarsi e per ripetere a tutti mentre lo mangia che è davvero buono. Ma io so che non ci crede, vuole una fiesta
  • la girella: poteva essere anche srotolata tutta, ma poi ti veniva l'orticaria. Si poteva anche mangiare a morsi, pezzettino su pezzettino, ma poi ti veniva l'orticaria lo stesso. C'era il giochino con le calamite, che l'orticaria non la faceva venire, quello col Golosastro e Toro Farcito, che difendeva il villaggio indiano e la sua scorta di girelle. Una bontà di pan di spagna farcita di cioccolato. Degna di un tormentone televisivo e di comparire sulle pagine del corriere dei piccoli. Un feticcio dell'era contemporanea e il timore alimentare di mia madre
  • i tegolini: quelli di prima generazione però. A base quadrata e con molto più cioccolato di quello che c'è adesso, si mangiavano con una facilità estrema, ma non senza metodologia. Dopo aver spazzolato la base di cioccolato, venivano staccate le listarelle di pan di spagna, una a una. Lo finivi e decidevi di mangiarne un altro. Non mi hanno mai procurato reazioni allergiche. Cosa notevole, direi. Forse è per questo che capitano ancora per casa, raramente perché non sono più buoni come i primi
  • lo yo-yo: non mi entusiasma tanto, ma lo cito per la gioia di alcuni miei amici. La prima volta l'ho visto a casa di Gaia, me l'hanno offerto là. Proprio a casa di quella creatura procace che da un po' non incontro più per il perugino, ma che ormai ha raggiunto un successo imperituro col nome di Pocce. Ho preteso che me lo comprassero per mesi a casa, allora era la nuova merendina del momento. Dopo i primi entusiasmi ragionando ho capito che era passabile, andava bene se proprio non si trovava altro al supermercato.

In rapida successione ricordo anche le merendine che hanno trovato spazio sul mercato, ma non per merito mio: i buondì (troppo stoppacciosi e sciucchi, giusto la granellina di zucchero), le crostatine (si sbriciolavano ancora prima di aprire la bustina) e i saccottini (con un gusto di chiuso e sempre, sempre, ma proprio sempre spiaccicati dai libri). Ora sonno, davvero molto

martedì 30 gennaio 2007

Si è fatto tardi

Un pensiero alla vita del Pampa salvata dal santo patrono, nonostante tutto. Lo aspetto rimesso e in perfetta forma sulla fascia destra. Magari anche in panchina a farmi compagnia, intoneremo el pueblo unido e besame mucho accompagnati dalla chitarra di Vinti che ormai sarà costretto a leggere regolarmente queste pagine. Io vado a letto non prima di aver finito quest'ultimo pezzino di torcolo di San Costanzo,
bonne nuit

domenica 28 gennaio 2007

Primo passo

Sabato esco e vado a comperare il Manifesto, cerco Alias e Micropolis, cerco e spero di trovare un articolo del caro Walter Cremonte. L'articolo non c'è. Così inizio tranquillamente a godermi il mio giornale, e funziona. Sono rilassato, sorseggio caffè e sfoglio il giornale. Poi arrivo al solito articolo, che ormai non manca mai su nessun quotidiano e su nessun periodico relativo alle energie rinnovabili. All'interno di Micropolis per l'esattezza. Venerdì avevo letto un articolo simile su Panorama. Così decido di seguire il consiglio di Giovi e iniziare a scrivere qualcosa anch'io. Continuo a sentire la proposta di un nucleare come risorsa, che non è. Non è un'energia pulita e ha residui radioattivi con tempo di dimezzamento che si aggira sui 240000-247000 anni. Evita semplicemente l'emissione di anidride carbonica, che non è una sostanza né velenosa né tossica. E' un gas serra, questo sì. Ma questi impianti contribuiscono comunque al riscaldamento dell'ambiente dato che richiedono enormi quantità di acqua per il loro raffreddamento, acqua che dopo gli usi di processo viene rilasciata a alta temperatura nei fiumi, mari o laghi circostanti, quando non è emessa direttamente come vapore. Ovviamente questo ha degli impatti ambientali significativi su tutta l'area circostante, sulla sua flora e la sua fauna, e in un'ottica più ampia contribuisce al riscaldamento globale del clima. E non basta rinchiudere i residui radioattivi in un qualche sito sotterraneo per starsene tranquilli in superficie. Le falde acquifere e i terreni si contaminano comunque, e per fare un esempio credo che nessuno sappia cosa aspetterà i francesi che da 50 anni si mangiano l'insalata coltivata su terreni a grosso rischio di contaminazione. Nessun paese occidentale ha ancora trovato una soluzione definitiva allo stoccaggio di questi residui. Le centrali nucleari hanno inoltre un costo enorme fin dalla loro prima realizzazione, hanno costi di gestione importanti che anche una volta dismesse si mantengono elevati, non è possibile lasciare una centrale di questa natura a sé e dire semplicemente che si finisce l'attività produttiva. Sono strutture che dopo la vita produttiva hanno lunghissimi tempi di smantellamento, basta considerare il fatto che tutte le loro strutture sono piene di elementi radioattivi. Una volta realizzate rimarranno là come minimo 100 anni prima di poter arrivare allo spegnimento completo del reattore. La loro vita media si aggira invece sui 30 anni e dopo devono necessariamente essere fermate e per lo meno riammodernate prima di essere rimesse in funzione. Gli stessi Stati Uniti si sono fermati a qualche decina di centrali quando avevano un programma di mille centrali a fissione, dovrebbe bastare questo a spiegare tutto. Dovrebbe spiegare che il nucleare è una tecnologia non economicamente conveniente. Il costo di un kWh di energia elettrica prodotto da fonte eolica è di un 18-20% inferiore a quello del nucleare, per esempio. Prima di smettere con le polemiche aggiungo che l'uranio è in via di esaurimento come e più del petrolio, con un prezzo che si raddoppia di anno in anno. Per non continuare a parlare di nucleare da solo appicco il rapporto preparato da greenpeace nel 2005 , leggetelo. Nemmeno parlo dei rischi connessi al nucleare, ve la risparmio dato che sono sotto gli occhi di tutti. Spero solo di aver fatto qualcosa per convincere i più che questa non è un'energia pulita e conveniente come sento dire così facilmente in giro. Buona notte e sogni d'oro a tutti con i migliori auguri a Bozzi per i suoi quasi trent'anni

sabato 27 gennaio 2007

Maus

"Mi dispiace ammettere che delle elezioni italiane non so niente. So solo che quando un’amica mi ha detto entusiasta che Berlusconi potrebbe perdere, per un attimo ho avuto l’assurda idea che forse Dio c’è."
(Art Spiegelman)

Oggi non parlo molto, do solo un consiglio per le letture e lo condisco con la citazione di una dichiarazione dell'autore stesso capitatami cercando un immagine da mettere qua sopra, la frase risale al 2006. Il libro è Maus. Molti già conosceranno il fumetto, ma per tutti gli altri consiglio di cercarlo, comprarlo e leggerlo, perché ne rimarranno sorpresi. Ora un po' di aria fresca

giovedì 25 gennaio 2007

Suona Rosamunda

Suona la banda prigioniera
suona per me e per te
eppure è dolce nella sera
il suono aguzzo sul nostro cuor
cade la neve senza rumore
sulle parole cadute già...

Tra un efferalgan e un aerosol, inizio a stare meglio e ascolto Capossela. Della neve sull'appennino me ne infischio e le polacchine le tengo a casa, tanto non sarebbero adatte al freddo. Stasera proverò il punch al rum consigliatomi dalla cara cafèconleche. La ricetta l'ho ritrovata e la preparazione sembra interessante. Ho anche una bottiglia nuova di zecca di un rum a basso costo, ovviamente. Stando a casa senza lavorare continuo a pensare al mio studio tecnico, a dire la verità vedo qualche possibilità a portata di mano e più ci rifletto più sono convinto che entro l'estate devo prendere una decisione. Probabilmente entro maggio. Credo però che il momento sia questo, con tutta questa curiosità per clima, ambiente e energie rinnovabili. Mi sa che è arrivato il momento di buttarsi, non vedo come possa ricapitare un periodo più propizio. Così ho passato la mattinata ha disegnare il mio studio, il luogo forse sarà la mansarda sopra casa della nonna, sembra una bella idea. A pensarci assomiglia più al rifugio di Anna Frank che a un ufficio, ma potrebbe diventare meraviglioso con piccoli accorgimenti. Avrei a disposizione una terrazza sul tetto dell'edificio. Avrei un camino in mattoncini davanti al quale piazzare una scrivania per l'inverno e lavorare al caldo. Avrei limoni di cui circondarmi e un panorama su mezza Perugia. Potrei rimettere in sesto la vecchia radio anni '60 e accenderla per ascoltare Caterpillar verso le sei del pomeriggio. Sarei felice e distratto come in pochi posti al mondo, lassù. Manca un nome, ma stando a casa anche domani qualcosa di decente partorirò. Stasera purtroppo il mio stato fisico non mi permetterà di andare con Trippa al concerto per Charlie Parker, maledizione... ora strufoli, miele e un goccino di rum per i miei studi svogliati e il mio raffreddore che viene chiaramente da un altro pianeta

martedì 23 gennaio 2007

Ubaldo

Oggi allo studio ho fatto amicizia con un uccellino, era proprio bellino. Con un po' di bianco sulle ali e la testa, il resto grigio e nocciola di varia tonalità. Mi sono accorto che stava zampettando sul balcone dietro la macchina del caffè. Probabilmente per il freddo, quello è notoriamente il posto più freddo di Gubbio. Era un uccellino da niente, piccolo e bellino. Non so mica di che razza fosse, e sorseggiando il mio caffè lungo mi sono messo a guardarlo, sembrava alla ricerca di qualcosa, si guardava intorno e volevo che guardasse verso di me, anzi volevo che guardasse proprio me. Manie di protagonismo, credo. Non l’ha fatto, così ho aspettato. Nel frattempo ho iniziato a riflettere sul suo nome e ho deciso di chiamarlo Ubaldo, l’uccellino della macchina del caffè. Mi ha messo allegria trovare questo nome, manco c’è voluta tutta sta fantasia, ma m’è piaciuto. E’ un bel nome, almeno per un uccellino. E mi sono ricordato del passerotto che nelle miei estati infantili passate a Castel Rigone veniva a posarsi sopra le mie spalle. L’avevamo trovato tra le siepi che circondavano la casa e col papà ci siamo messi a curarlo, era ferito e non poteva né zampettare né volare. Il papà l’ha curato, e ricordo che lo tenevamo in una scatola coi forellini, io e mia sorella lo guardavamo migliorare da lì, da quei forellini. Una volta guarito è rimasto con noi fino alla fine dell’estate, è stata una bella esperienza, lo ricordo davvero con affetto. Oggi chissà com'è che quest'altro uccellino è passato dalle parti dello studio, l'ho conquistato con due briciole di torta al formaggio. Le ho lasciate cadere sul balcone e appena se n'è accorto è arrivato zompettando e ha spazzolato tutto, forse aveva fame. Ho passato qualche minuto a dargli da mangiare e ora appena ripasso vicino alla macchinetta del caffè guardo se è tornato per mangiare altre briciole. Per oggi mi sa che è andata, chissà quando ripasserà

domenica 21 gennaio 2007

sabato 20 gennaio 2007

Olé

Mica sto tanto bene. Mi sento debole. Questa gola continua a pizzicare e la testa è un po' stordita. In tali condizioni credo di poter parlare di flamenco invece di mettermi a studiare. Ho in mente un paio di alegrías da qualche giorno, chissà perché poi. Ora descrivere il flamenco in poche righe è complesso, e bisognerre poter parlare della cultura gitana, magari coinvolgendo anche le giostraie che vengono sempre alla festa tu qui al Ponte. Il flamenco è nato come canto in una società con una povertà diffusa e disagi un po' in tutti gli aspetti della vita. E in quello che forse è più giusto chiamare cante si ritrova la vita di questa società gitana che è sempre stata lasciata ai margini e che un po' si è emarginata da sola. In certi ambienti ciò che salva le persone è l'individualità, così tutto quello che circonda il flamenco è individuale, si rappresenta uno stato d'animo sia con la voce che con le chitarre e il ballo. Il ballo è quello che colpisce di più, è sensuale e provocatorio. Con delle espressioni forti e tutta quella gestualità che hanno le culture mediterranee. Poi arrivano i colori della vita gitana, abiti lunghi e accesi, spesso con tinte contrastanti tra loro e vengono mossi non solo da mani, piedi, ma da tutto il corpo. Battute maliziose in mezzo alla canzone o al ballo sono un omaggio alla seduzione di tutto quello che si sta vedendo e ascoltando. E quando un passo riesce bene dal pubblico arrivano gli olé, è uno mondo a sé, uno spettacolo flamenco non è niente di paragonabile ad un balletto o a un concerto, è flamenco. Mantiene un carattere primitivo che è quella purezza che la generazione del '27 voleva salvare, ma credo che non ci sia bisogno di salvare nulla, la sensualità e la purezza rimangono anche mischiando altri generi al flamenco. Quello che conta è sempre lo stato d'animo di chi lo interpreta, che sia triste o felice poco importa se si riesce a trasmettere il senso gitano della vita che si apre all'amore e al sangue nello stesso modo

martedì 16 gennaio 2007

Resta di Stucco

Barbapapà è nato in un giardino. Pare che l'idea sia nata invece sull'onda del maggio francese che ha dato una bella scossa ad un'intera generazione. Quando è stata sgomberata la Sorbona. In qualche parte di Parigi e magari in quel Quartiere Latino più vicino agli studenti. Insomma, Barbapapà non è un fiore, ma una rara creatura che ha il nome dello zucchero filato francese e che può trasformarsi in tutto ciò che vuole. Quando vede Barbamamma, anche lei nata dal giardino, inizia a fare le capriole e la conquista con un mazzo di fiori. In un modo o nell'altro nascono tutti i componenti della famiglia, nascono da uova colorate deposte ovviamente nel terreno. Ognuno ha una caratteristica ben precisa e in ogni loro avventura affrontano una nuova difficoltà e se serve riescono sempre ad aiutare qualcuno. Lo fanno cambiando forma e accompagnando ogni trasformazione con la meravigliosa frase: "Resta di stucco, è un barbatrucco!" Da piccolo avevo un bel libro con tutte queste illustrazioni e ricordo di averlo adorato, ancora starà da qualche parte in giro per la camera. Il preferito era Barbabarba, l'unico peloso e che in giardino o nella loro strampalata casa dipingeva sempre. In una delle prime storie si dice che nel loro mondo senza peli lui era l'immagine di una grande fortuna. Sono stati tra i primi personaggi dei fumetti e dei cartoni animati a portare un messaggio ambientalista. La perla che regalo a Giovi, scoperta del pomeriggio, è che la sigla italiana del cartone animato è stata scritta da Vecchioni, non mi ricordo le parole, ma la musica sì e vado a fischiettarla a letto

Sotto coperta

Ho fatto un po' di casino con i video, ma finalmente sono riuscito a capire come farli comparire direttamente sul blog. Sono soddisfazioni. Ora vedremo se ce la faccio anche a farli scomparire... vabbè... Stamattina è stata una prova di forza alzarmi dal letto, avrei voluto con tutto me stesso rimanere tra le lenzuola. Con quel caldino che avrebbe potuto farmi compagnia fino alle undici, come minimo. Avrei acceso la radio ancora assonnato e solo per svegliarmi e ritrovarmi profumato sarei andato sotto la doccia, logicamente bollente, per un'ora. Come quando tornavo dai miei pomeriggi passati in bicicletta sotto il sole estivo. Quelle docce lunghe ancora mi mancano. Col caffè da preparare e il secondario senso di colpa di dover scegliere prima che sia ora di pranzo la mia colazione. Che bella mattinata avrei passato a rimanere sotto le coperte. Avvinghiato tra le lenzuola. Ora mi ritrovo qua, ogni tanto vado a fare due chiacchiere negli altri uffici, ma credo che qualcuno che dovrebbe pagarmi comunque molto di più di quanto fa potrebbe prendersela, sarebbe complicato spiegare che non è nulla di personale. Così raziono le mie pause e continuo a scrivere una relazione su un piccolo impianto a idrogeno. La trovo davvero noiosissima, piena di chimica e di reazioni con qualche protone a spasso. Fa anche freschino qua dentro, questa temperatura riesce appena appena a stuzzicarmi, e mi accorgo sorprendetemente che oggi ho avuto il mio primo rimpianto da neve che non c'è, ne avesse fatta come l'anno passato oggi sarei stato già a fare discese con i sacchi, e mezzo studio sarebbe venuto con me a divertirsi, lo so. Mannaggia. Scrivendo mi sono venuti in mente i barbapapà, dovrò riflettere sulla follia che attanaglia la mia mente. Ora so che il prossimo post si chiamerà sicuramente "resta di stucco" e sarà tutto per i barbapapà. Basta chiacchiere, adesso devo andare a vedere un impiantino a biomasse sopra qualche monte, la signora ha detto che preparerà la crescia. Io pranzo lassù e faccio due fotografie al panorama, mentre mi avvio tra i boschi lascio anche due versi espliciti
E' bello lavorare
nel buio di una stanza
con la testa in vacanza
lungo un azzurro mare

domenica 14 gennaio 2007

Por una cabeza

Qualche tempo fa Trippa mi ha raccontato che al buio ascoltava la musica di un tango, por una cabeza, e gli veniva da piangere. Oggi mi accorgo che la stessa musica e le parole di questo tango si ritrovano in molti film a partire da Spielberg che fa ballare Schindler a Berlino proprio su queste note. I segni iniziano a essere troppi e allora parlo un po' di tango e Gardel. La musica che fa emozionare Trippa è sua e la compose a New York proprio per un film dallo stesso titolo, credo. E' la storia di una scommessa persa, di un cavallo vincente che proprio sulla linea d'arrivo non ce la fa più e perde. Per una testa, appunto. Ma è anche la storia di un giocatore che abituato a rischiare gioca con tutto e perde sempre, con i cavalli e le donne. E' stanco di finali giocati sulla linea, di scommesse che sembrano vincenti solo fino all'ultimo minuto, ma è sempre disposto a rimettersi in gioco. Sa di sbagliare, ma non riesce a tirarsi indietro, anzi non può. Non può fare a meno di scommettere ogni volta sui cavalli e sull'amore. Che perda conta poco. Un altro film dove si balla questo tango è Profumo di donna, quello con Al Pacino nelle vesti del colonello. Lei è bellissima. Io lascio il link al video proprio sopra il nome del film, guardatelo se vi va. Per ora vado a letto, pronto o quasi alla nuova settimana

Minuetto

Ho cenato con Minuetto. Donna ancora più grande della canzone, se possibile. Ho pistato una cacca passeggiando col Meuri e ora che ho pulito le scarpe vado a letto, sogni d'oro a tutti, io canticchio un po' la canzone nel rispetto della regola di Bozzi che voglio far felice con pochi versi
E' un'incognita ogni sera mia
Un'attesa, pari a un'agonia. Troppe volte vorrei dirti no
E poi ti vedo e tanta forza non ce l'ho
Il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no
Le mani tue, strumenti su di me,
che dirigi da maestro esperto quale sei...

mercoledì 10 gennaio 2007

Andando

Camminando, camminando.
Voglio ascoltare ogni grano
della sabbia che sto pistando...
Non so quanto sia nota, ma mi sono incontrato in questa poesia che mi ha colpito subito, è davvero bella. Tutto è riassunto dai piedi che camminano. Ora mi ritrovo ad indossare le mie ciabattine azzurre quelle con la bandierina del Brasile stampata sopra, una maglietta blu e il mio nuovo pigiama bianco. Quello di qualche post più giù, lo trovo fantastico e mi sembra che stia molto bene con le mie chanclas, o flip-flop come le chiamerebbero in qualche altra parte del mondo. Ora con tutta questa roba indosso ci vorrebbe una bella spiaggia dove passeggiare, ma senza un sole eccessivo che poi mi scotto subito e poter fischiettare una canzone spensierata. La spiaggia non ce l'ho a portata di mano, e forse sembro più adatto ad un sonno di 15 ore, col pigiama e tutto il resto. Un sonno come quel pomeriggio della prima vacanza fatta con Gozzi, Bozzi e gli altri. Allora la spiaggia ce l'avevamo a portata di mano veramente. Proprio stasera mi ritrovo con questa voglia di camminare, fare una passeggiata lunga e senza bisogno di dover necessariamnete arrivare da qualche parte. E poi in pianura. Niente sforzi fisici. Camminare per il gusto di chiacchierare, evidentemente con qualcuno. Con questo inverno tiepido che fa tanto preoccupare i giornalisti domani credo che una bella passeggiata non me lo toglierà nessuno, una passegiata subito prima di andare a sentire la fisarmonica argentina al Loop e raccogliere il consiglio di Giovi
Camminando.
Lasciate i cavalli indietro
che voglio arrivare tardando
Rileggo la poesia e capisco che domattina arriverò in leggero ritardo all'ufficio, camminando ovviamente, bonne nuit, io vado a letto col pigiama bianco

lunedì 8 gennaio 2007

I normanni bevavan calvadós

Mangio pezzi di noci di macadamia e leggo che dovrebbero essere il frutto secco più grasso del mondo, sono dolci e compongono il mio torrone natalizio ecuadoreño, ho inziato a mangiarlo prima di cena e lo sto finendo adesso. Credo che sia meglio fermarsi prima che collassi a terra, forse aiuterò la digestione con un brandy. E' molto buono davvero questo dolcetto, il merito è sicuramente di questo raro tipo di noci, pare che siano originarie delle Hawaii, anche se l'origine sinceramente non mi interessa ammetto che sono tra le cose commestibili di cui non riuscirò a fare a meno. Pregi del commercio equo e solidale, e dei regali natalizi. Proprio in questi giorni mi hanno parlato particolarmente male di questo tipo di progetti, queste iniziative tipo altromercato. Chi l'ha fatto è una persona impegnata da anni nella cooperazione internazionale, sinceramente non riesco bene a ricordare tutto quello che mi ha detto. Dovrò riparlarci meglio, il concetto è che questo tipo di progetti di commercio equo-solidale tendono a dirottare fondi che potrebbero essere meglio sfruttati, potrebbero creare un migliore valore aggiunto alla produzione in zone legate ad un'economia di semplice sussistenza, insomma a dire suo non garantiscono un serio sviluppo in quelle regioni che ne avrebbero bisogno però servono a molti per farsi belli. Ecco, io l'ho detto. Immagino che non tutti saranno d'accordo, forse nessuno, però chi me l'ha detto era incazzato nero e in buona fede, io voglio rifletterci ed indagare meglio su quello che mi ha spiegato. Certe inziative almeno un primo passo devono pur rappresentarlo. Io rimango con i miei dubbi, ma mi piacerebbe molto veder finire questa moda di chiamare tutto col prefissoide altro, un'abitudine quantomeno un po' noiosa. Intanto nelle prime pagine di quelli che stanno diventando dei cari fiori blu, ogni volta che il Duca d'Auge guarda la storia ci sono i Normanni che bevono calvadós, tutti si arrabattono a fare qualcosa di strampalato per il mondo e loro sono sempre là col calvadós. L'ho detto a Gozzi che questo libro inzia a piacermi. Io per ora vado a riposarmi, un calvadós non ce l'ho, ma un bicchiere di brandy forse sì, tutto quel torrone sullo stomaco inizia a diventare molesto

Lunedì mattina

Un caffè e un fumetto aprono la prima settimana piena dopo un po' di tempo, allo studio c'è aria di cambiamenti e credo che per qualche giorno sarà un po' come un salto nel vuoto. L'ufficio ha iniziato a riorganizzarsi e ci allarghiamo al piano terra, una figura misteriosa si aggiungerà al gruppo e se convinco tutti mi faccio spostare di sotto. A me piacerebbe farmi mandare nell'ufficio dove c'è un torchio di legno, di quelli che venivano usati durante la vendemmia per la spremitura dell'uva. Porterò con me la macchinina a idrogeno e un paio di scaffali. In tutto ciò pare che finalmente i miei progetti sudamericani siano sistemati, ormai si tratta solo di aspettare le decisioni di Bruxelles. E io aspetterò, intanto il caffè è finito e torno alle mie scartoffie, ma prima accendo la radio. Spero di beccare una canzone da cantare per tutta la giornata. Buon risveglio a tutti

sabato 6 gennaio 2007

la Cina è vicina

Apro il giornale e leggo che operai di un'azianda italiana in Cina si lamentano di essere trattati come schiavi, di subire ingiustizie e quando provano a protestare per dei tagli salariali vengono picchiati, oggi leggo che forse un dipendente è anche in coma. Poi vado a cercare la notizia in giro per siti asiatici e scopro che il direttore sostiene che sarebbe più giusto parlare di redistribuzione delle griglie salariali, non di tagli. Ora, se qualcuno che ha studiato economia mi illuminasse e mi spiegasse la natura di queste griglie salariali ne sarei oltremodo contento. In attesa di illuminazioni gestionali e economiche, appiccico al titolo il link della notizia e ho voglia di parlare un po' di questa industria italiana, di questi marchi tanto cari a Montezemolo, che ormai si vede in tv più del papa e che vuole esportare per il mondo lo stile italiano. Lo stile è quello di questo bel paese di capitalismo senza capitale e di industrialotti che per decenni non hanno investito una sola lira su risorse umane, qualità, innovazione, tecnologia e ricerca continuando a gestire le imprese in maniera approssimativa e familiare. Come se negli ultimi quarant'anni non fosse cambiato nulla. Ora piangono per i cali di fatturato, ma i prodotti sono sempre quelli da decenni e l'unica innovazione che si fa è un pizzico di restyling quando capita, e non vorrei parlare del marketing, già l'ha fatto Go compiutamente a suo tempo. Non devo sforzarmi molto per ricordarmi di aver sentito imprenditori vantarsi che nei propri stabilimenti cinesi gli operai lavorassero anche venti ore al giorno. Senza diritti e guadagnando una miseria. Vivendo in ghetti dove ci si ritrova a dormire la sera. Città che nascono in due giorni attorno agli stabilimenti, in aree a grosso rischio di contaminazioni da residui industriali grazie anche ai controlli ambientali inesistenti in certi paesi. Questo è quello che cerca l'industria italiana nel mondo. Diventare grande anche inquinando liberamente, quando si può anche con collusioni mafiose, come ricordava Carlotto all'incontro di Banana Republic l'anno passato. Non è da poco poter inquinare liberamente, è lo stesso motivo che ha portato a grossi investimenti italiani in Romania negli ultimi anni. Ora scommetto che con l'Europa di mezzo tutti gli stabilimenti in Romania piano piano si sposteranno da qualche altra parte. Vedremo. Intanto aggiungo le favole che ho sentito dire ai clienti raccontando che la produzione in Cina non esiste, tutto è made in Italy! Aggiungiamo poi qualche legge di comodo, non so se europea o italiana, che offre spunti interessanti alla libera iniziativa imprenditoriale. Ammettiamo che alla merce proveniente dalla Cina o da altre parti del mondo sia tolto l'imballo, che venga poi gestita in qualche modo all'interno dello stabilimento italiano e infine che sia opportumente re-imballata, ecco che come per magia nessuno è più tenuto a far sapere se quei prodotti sono provenienti dallo stabilimento cinese o da quello italiano. In genere diventano italiani, amor di patria, suppongo. Quello che mi dispiace è che l'industria potrebbe essere una grande risorsa per questo paese, potrebbe farlo crescere intellettualmente e potrebbe essere, insieme alla scuola, la principale leva per far crescere la società, non lo è perché ormai quello che conta è il marchio e si è persa quell'idea di Adriano Olivetti di mettere al centro dell'attività produttiva aspetti sociali e non il profitto, putroppo non si vedono più industriali inseguiti da un mandato di cattura fascista che li definisca sovversivi. Magari è più facile che il mandato riporti la scritta "collusi"

mercoledì 3 gennaio 2007

la llorona

Oggi torno a parlare di musica, di Messico e di una cantante che bisognerebbe conoscere. Lei è Chavela Vargas. Il Messico si conosce. Il titolo del post richiama una leggenda popolare della quale non è certa l'origine. Ho sentito parlare di questa leggenda grazie a un cd di Joan Baez, la canzone si intitolava la llorona, come la donna della leggenda. Chavela Vargas è il Messico e la più grande interprete di questa canzone popolare. Una donna al di là di ogni immaginazione, novantenne e che vive il Messico come se fosse il suo paese, quasi dai tempi della rivoluzione. Fu amica e amante di Frida Kahlo fino alla sua morte. Ha vissuto la sua vita come se fosse un romanzo, con ubriachezze, pianti e una libertà sessuale sfacciata. Lei ha portato via il canto melodico con una voce roca, spesso fuori tempo e stonata, e sempre stanca come se dovesse inseguire la musica. A raccontarla così non sembra credibile aver voglia di ascoltare un suo cd. Ed effettivamente serve un po' di tempo per apprezzarla, ma poi si rimane sorpresi dalle sue canzoni. Con lei contano più i sentimenti che l'interpretazione tecnica, e finisce che ascoltandola viene voglia di abbracciarla. Quando canta la llorona il primo pensiero è consolarla. E' una donna particolare, come ce ne sono poche, forse delle volte è sguaiata o aggressiva, ma con quell'espressione che si ritrova rimane bella qualsiasi cosa faccia. E' una donna pacifista, che vorrebbe vedere violini viaggiare per il mondo e non fucili, come ho letto da qualche parte. E forse un po' provocatoriamente ripete sempre che le frontiere sono un'idea sbagliata in partenza. Alla sua età dice di non aver paura della morte, e aggiunge di voler morire un lunedì per non rovinare il fine settimana agli amici. Ma poi non ce la fa a raccontare che Federico Garcia Lorca è morto, per lei rimane vivo, ancora sostiene di essere innamorata di lui, sostiene di averlo amato da sempre anche prima di conoscerlo e di suonare in casa sua. Ecco, ho parlato solo di Chavela e non so nemmeno se sono riuscito a descriverla bene, non ho scritto una sola parola della leggenda de la llorona, e avrei voglia di continuare a scrivere altre due righe, ma domani si annuncia un'altra giornata fin troppo indaffarata, l'ansia di oggi forse se ne andrà e per ora mi accontento di lasciare qualche parola della canzone.
...Dicen que no tengo duelo, Llorona,
porque no me ven llorar
hay muertos que no hacen ruido, Llorona,
y es más grande su penar.
¡Ay! De mi, Llorona,
Llorona de azul celeste
y aunque la vida me cueste, Llorona,
no dejaré de quererte...

lunedì 1 gennaio 2007

new year's resolutions

Oggi ho voluto iniziare la giornata con un bel gesto, che mi ha messo allegria per tutto il pomeriggio passato davanti al computer, ma non svelerò cosa ho fatto, l'ho fatto così, d'istinto. L'effetto ormai è finito e gli occhi mi brucicchiano, a forza di stare qua davanti a scrivere una traduzione svogliata credo di essere diventato appena più cieco di quello che ero ieri. Forse è stata anche la nottata a stancarmi gli occhi, forse è stata davvero quell'orribile festa di fine anno in via eugubina, con la padrona di casa conciata come miss america, coroncina di brillanti e reggiseno push-up. Ammiro sempre lo spirito di iniziativa, ma quella è stata una pessima manifestazione di umanità. Dovrebbe comunque essere più logico dare la colpa della mia stanchezza alla giornata passata qua davanti al monitor a scrivere e a fare calcoli sulle cosiddette deiezioni di piccoli animaletti che sulle Ande chiamano cuyes. Deiezioni, che parola brutta, forse scrivere cacate renderebbe meglio l'idea, mi sembrerebbe tutto più spontaneo. Ieri il Pampa è stato l'unico a mangiare 12 chicchi d'uva in 12 secondi, gli ultimi di un anno che finiva, io non ce l'ho fatta, porc... e dire che ce l'ho messa tutta, mi sono arreso soltanto quando ho capito che rischiavo il soffocamento da un momento all'altro. Credo di aver sforato di almeno dieci secondi nel nuovo anno prima di buttare giù tutta l'uva. Ammetto di non essere sereno in quest'ultimo periodo, capitano giornate in cui l'ansia per tutto quello che m'aspetta nei prossimi tempi mi si butta addosso, come oggi, ma questi momenti arrivano e se ne vanno nello stesso modo, basta aspettare. E nell'attesa quest'anno nuovo si propone con un inverno tiepido, per metà già lasciato alle spalle, e sempre con delle speranze che tiepide non sono, almeno le mie voglio vederle più accese. Dopo le speranze aggiungo il vezzo dei propositi per il nuovo anno:
  1. leggere un altro libro di Bellow, forse Le avventure di Augie March
  2. imparare un'altra lingua straniera tra francese, arabo e portoghese
  3. provare finalmente a ballare un tango come si deve
  4. mettere in piedi una società di ingegneria
  5. andare al matrimionio di Si Theng
  6. cercare di fare qualche scelta un po' più coraggiosa, lasciando indietro quelle fatte per comodità o paura, iniziando da quelle che dovrei aver già fatto
  7. imparare a fare la sacher torte e la pastiera
  8. dare almeno un bacio in più di quelli dati nell'ultimo anno
  9. passare quel pomeriggio in bicicletta con Chiara e Giovanni, come avremmo dovuto già fare
  10. bere almeno un bicchiere di amarone

Ecco, ho finito appena in tempo, per cinque minuti ho anticipato la fine di questo primo giorno dell'anno, non ho aggiunto alla lista la possibilità di far riallungare i capelli, forse devono ancora convincermi del tutto, non sarebbe per ora un proposito, solo un'idea.