sabato 6 gennaio 2007

la Cina è vicina

Apro il giornale e leggo che operai di un'azianda italiana in Cina si lamentano di essere trattati come schiavi, di subire ingiustizie e quando provano a protestare per dei tagli salariali vengono picchiati, oggi leggo che forse un dipendente è anche in coma. Poi vado a cercare la notizia in giro per siti asiatici e scopro che il direttore sostiene che sarebbe più giusto parlare di redistribuzione delle griglie salariali, non di tagli. Ora, se qualcuno che ha studiato economia mi illuminasse e mi spiegasse la natura di queste griglie salariali ne sarei oltremodo contento. In attesa di illuminazioni gestionali e economiche, appiccico al titolo il link della notizia e ho voglia di parlare un po' di questa industria italiana, di questi marchi tanto cari a Montezemolo, che ormai si vede in tv più del papa e che vuole esportare per il mondo lo stile italiano. Lo stile è quello di questo bel paese di capitalismo senza capitale e di industrialotti che per decenni non hanno investito una sola lira su risorse umane, qualità, innovazione, tecnologia e ricerca continuando a gestire le imprese in maniera approssimativa e familiare. Come se negli ultimi quarant'anni non fosse cambiato nulla. Ora piangono per i cali di fatturato, ma i prodotti sono sempre quelli da decenni e l'unica innovazione che si fa è un pizzico di restyling quando capita, e non vorrei parlare del marketing, già l'ha fatto Go compiutamente a suo tempo. Non devo sforzarmi molto per ricordarmi di aver sentito imprenditori vantarsi che nei propri stabilimenti cinesi gli operai lavorassero anche venti ore al giorno. Senza diritti e guadagnando una miseria. Vivendo in ghetti dove ci si ritrova a dormire la sera. Città che nascono in due giorni attorno agli stabilimenti, in aree a grosso rischio di contaminazioni da residui industriali grazie anche ai controlli ambientali inesistenti in certi paesi. Questo è quello che cerca l'industria italiana nel mondo. Diventare grande anche inquinando liberamente, quando si può anche con collusioni mafiose, come ricordava Carlotto all'incontro di Banana Republic l'anno passato. Non è da poco poter inquinare liberamente, è lo stesso motivo che ha portato a grossi investimenti italiani in Romania negli ultimi anni. Ora scommetto che con l'Europa di mezzo tutti gli stabilimenti in Romania piano piano si sposteranno da qualche altra parte. Vedremo. Intanto aggiungo le favole che ho sentito dire ai clienti raccontando che la produzione in Cina non esiste, tutto è made in Italy! Aggiungiamo poi qualche legge di comodo, non so se europea o italiana, che offre spunti interessanti alla libera iniziativa imprenditoriale. Ammettiamo che alla merce proveniente dalla Cina o da altre parti del mondo sia tolto l'imballo, che venga poi gestita in qualche modo all'interno dello stabilimento italiano e infine che sia opportumente re-imballata, ecco che come per magia nessuno è più tenuto a far sapere se quei prodotti sono provenienti dallo stabilimento cinese o da quello italiano. In genere diventano italiani, amor di patria, suppongo. Quello che mi dispiace è che l'industria potrebbe essere una grande risorsa per questo paese, potrebbe farlo crescere intellettualmente e potrebbe essere, insieme alla scuola, la principale leva per far crescere la società, non lo è perché ormai quello che conta è il marchio e si è persa quell'idea di Adriano Olivetti di mettere al centro dell'attività produttiva aspetti sociali e non il profitto, putroppo non si vedono più industriali inseguiti da un mandato di cattura fascista che li definisca sovversivi. Magari è più facile che il mandato riporti la scritta "collusi"

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Il blog rivive

Anonimo ha detto...

Olivetti, Mattei e, se vuoi, Spagnoli, erano degli industriali. Una razza che sicuramente s'è estinta da anni. Oggi l'Italia è piena di mezze tacche che pur essendo sommersi dai debiti continuano a fare i grandi: auto, ville, sardegna, VIP, Berlusconi,... A "barba dei coglioni", come direbbe mio padre, ovvero dei pirla come me che a 30 anni non hanno contratto, che sgobbano per loro, che garantiscono produzioni con il minimo costo per l'azienda. I sindacati stanno zitti, ormai da 15 anni, anche perchè il rischio "trasferimento in altra sede" è sempre probabile. I casi si sprecano, ma pochi ne parlano (Grillo, Saviano, Report). Invece di invidiarli, anche perchè non ce n'è motivo, ci dovremmo svegliare un po' tutti.

Anonimo ha detto...

analisi profonda e proficua di focaia. segnato indelebilmente dall'esperienza nell'aziendetta familiare che si fa internazionale. noi continuiamo a studiare, a cercare di capire, e di far capire a chi ci sta intorno. e - se potete - ascoltate un po' di beth orton

Anonimo ha detto...

bozzi ormai interviene ovunque solo per rimandare al proprio blog. al suo egocentrismo incondizionato non c'è più limite

Anonimo ha detto...

è vero l'esperienza aziendale m'ha segnato, e sono scappato, non fa per me, ma non te crede' che quella fosse tanto aziendetta...ascolterò Beth Orton, c'hai ragione, ha pure un nome che mi piace molto. Domani rimetto il suo cd in macchina e canterò sulla via di Gubbio. Di Mattei bisognerebbe parlarne, ha ragione il Meuri, anche per approfondire questo mio sfogo

Anonimo ha detto...

perchè non scrivi un bel post sul caso mattei, injejer? immagino che il pampa ora proporrà una serata per vedere il film